Ragionando di serie tv ispirate ai fumetti, – cui è dedicato il nr. 26 di Sbam! Comics, la nostra rivista digitale gratuita scaricabile liberamente da QUI – oggi come oggi è impossibile non pensare a The Walking Dead. E pensando a The Walking Dead, è impossibile non fare riferimento al suo creatore Robert Kirkman. E facendo riferimento a Robert Kirkman, è impossibile non guardare con curiosità anche alla sua più recente fatica horror: quell’Outcast che, dopo essersi fatto molto apprezzare su carta (chiedere per conferma ai lettori dell’edizione italiana, edita da saldaPress), è pronto a sbarcare in video – dal 3 giugno – con l’omonimo serial televisivo. Una storia che, dopo l’apocalisse zombie di TWD, promette di tenerci col fiato sospeso approfondendo un altro tema classico dell’immaginario brividoso: la possessione demoniaca. Quale occasione migliore per una bella chiacchierata a 360° con Paul Azaceta, giovane ma già affermato artista di origini cubane che, insieme al vulcanico Robert, ha di fatto co-creato la saga di Outcast?
Di seguito, un estratto della nostra intervista, che potete leggere per intero sulla nostra rivista digitale, insieme a molto altro materiale sul tema.

sbam-azaceta_fotoCiao Paul, e benvenuto su Sbam! Cominciamo dall’inizio: quale è stato il tuo primo approccio con Outcast?
Io è Robert Kirkman ci conosciamo da anni, abbiamo tanti amici in comune. Per questo, già in passato ci era capitato di parlare della possibilità di fare qualcosa insieme. E quindi, quando lui ha iniziato a pensare a questa storia e a chi potesse essere il disegnatore più idoneo per realizzarla, ha alzato il telefono e mi ha chiamato. Ed è così che è nato tutto!

Una volta entrato a far parte del team creativo, come sei intervenuto per integrare lo script originale di Kirkman?
Tutto quello che vedete visivamente sulle pagine rappresenta il mio personale contributo al fumetto! L’idea di base è stata di Robert, poi io mi sono preoccupato di tradurla in immagini: per cui ho costruito i personaggi, gli ambienti, ho definito i colori insieme a Elizabeth Breitweiser… Prima di iniziare a lavorare alla serie, avevo tante preoccupazioni che mi frullavano per la testa. Pensavo per esempio che la cosa più difficile fosse trasferire nel fumetto quello specialissimo elemento che fa “scattare” la paura. Non dimentichiamo che nei film per ottenere questo effetto vengono in aiuto le colonne sonore, che creano ambiente e atmosfera. In un comic book, ovviamente, questo supporto non c’è: quindi prima di dedicarmi al disegno vero e proprio mi sono concentrato su come ovviare a questa mancanza.

Hai fatto cenno al lavoro di Elizabeth Breitweiser, che i lettori italiani possono apprezzare nell’edizione in volume di saldaPress: un lavoro che predilige colori acidi, molto vivi, scelte cromatiche insolite per un comic book americano…
All’inizio, la prima idea era stata quella di orientarsi su scelte cromatiche che potessero creare un mood oscuro, molto dark. Però volevo anche arrivare a qualcosa che non tradisse la tradizione del colore tipica del fumetto Usa. È il colore, infatti, che meglio di ogni altro elemento riesce a trasferire sul pubblico l’impatto del fumetto come mezzo di comunicazione. Si trattava quindi di conservare il colore e, nel contempo, trasmettere un’atmosfera scura, lugubre, in sintonia con il tema della serie. Lavorando con Elizabeth, abbiamo trovato la soluzione: lei è stata in grado di tradurre perfettamente la mia idea, che così ha preso vita sulla pagina.

Outcast_edicola_003Anche le copertine, così grafiche ed essenziali, appaiono lontane dagli standard che vanno per la maggiore nel fumetto Usa…
Credo che quelle oggi in voga sul mercato americano siano cover iper-colorate, eccessive, troppo piene di personaggi e di elementi. Invece, se sullo scaffale di una fumetteria zeppo di copertine di questo tipo vedi un albo con una cover semplice, ma di una semplicità in grado di trasmetterti qualcosa su quello che troverai all’interno, beh… ecco che quel fumetto attirerà la tua attenzione! Utilizzare uno stile essenziale è stata quindi una scelta finalizzata a catturare meglio l’interesse del lettore. Anche in questo caso Elizabeth si dimostra bravissima: scegliendo un solo colore, e quindi rinunciando alla complessità tipica dei comic book Usa, riesce lo stesso a creare qualcosa di bello, attraente, d’impatto.

La possessione è uno dei temi fondativi dell’horror contemporaneo: quali sono gli elementi di novità con cui Outcast si propone di reinventare il genere?
Credo che l’elemento da considerare sia quello che, in qualche modo, accomuna Outcast a The Walking Dead: cioè convivere con l’orrore. Se prendiamo un classico della possessione come il film L’Esorcista, vediamo che il climax horror è limitato a un unico momento, alla famosa sequenza della ragazzina indemoniata; Outcast, invece, si propone di raccontare l’orrore da diversi punti di vista, con diverse sfaccettature. Di scoprire un sacco di cose orribili ma in una dimensione narrativa prolungata, che continua per settimane, mesi, anni…

(Marco De Rosa)