Nell’ultimo numero di Sbam! Comics – la nostra rivista digitale scaricabile liberamente da QUI – abbiamo trattato di fumetti che si concentrano su temi “difficili”: per una volta, abbiamo tralasciato le ampie praterie, gli spazi siderali, le dimensioni oniriche e le realtà parallele di tanti (grandiosi) fumetti, per scendere nella realtà quotidiana, nella vita familiare, tra le mura domestiche dove tutti noi viviamo. Abbiamo parlato invece di genitori, nonni, figli, nipoti, equilibri, malattie, disagi sociali e gioia di vivere, rivisitati tra le Nuvole Parlanti.
È in quest’ambito che abbiamo intervistato il grande Paco Roca, autore di quell’autentico capolavoro del Fumetto che è Rughe, opera che – all’epoca della sua uscita –noi di Sbam! non esitammo a fregiare con la nostra coccarda virtuale SSGF (Signore e Signori, questo è Grande Fumetto). Avere dunque l’occasione di parlarne direttamente col suo autore è stato un grande onore.
I graphic novel hanno spalancato al Fumetto l’approccio a tanti temi complessi, importanti e scomodi. Ma in Rughe sembra esserci qualcosa in più; si toccano corde profonde, si esplora l’abisso della malattia. Perché questa scelta?
Mi interessava il tema della vecchiaia. I miei genitori avevano una certa età, ed avevano problemi di salute. Pensavo che fare un fumetto “a tema” mi avrebbe fatto capire meglio cosa loro stessero provando in quel momento delle loro vite.
Inoltre, mi resi conto del fatto che pochissime storie avessero come protagonista la terza età. Decisi allora di allargare il raggio e di non soffermarmi alla sola vecchiaia dei miei genitori: per questo motivo scelsi di ambientare questa storia in una casa di riposo, così da poter osservare diverse “vecchiaie”.
In Rughe, in più di un momento i disegni prendono il sopravvento sui testi, portano il lettore al centro del dolore, nel cuore del dramma. È qualcosa che si deve al tema scelto o è stato un tuo preciso intendimento?
Il Fumetto è un mezzo “visivo”, motivo per cui il disegno è una parte molto importante. Nel mio caso, cerco di narrare il più possibile con questo, e, dove esso non arriva, aggiungo i testi. In Rughe c’era il pericolo di essere troppo “sensibile”, troppo esplicito con i sentimenti. Cosicché, in quelle scene difficili, per non uscire dalla scia della storia ho eliminato i testi e lasciato le scene mute. Questo fa sì che il lettore riempia i silenzi con i propri sentimenti.
Soffrire di Alzheimer è terribile perché significa perdere sé stessi. Ma quando non ci si riconosce più si resta comunque esseri umani, si ama ancora, si ha sete di vita, si soffre. La tua è una storia di sconfitta, ma anche un’intensissima storia d’amore. In tutto questo, quanto spazio c’è per la speranza?
Ce n’è. È una storia dura, per certi versi deprimente e – inoltre – senza un finale “hollywoodiano”. Ma io sono una persona ottimista, e ho tentato di cercare un po’ di luce in quella oscurità.
Evidentemente la storia finisce dove deve finire. Una persona malata di Alzheimer non si riprende, ma si può trovare una luce nella sua lotta per mantenere la dignità di malato. E poi, per quanto realmente il tema di Rughe sia la solitudine, l’amicizia tra Emilio e Miguel la rende una storia di speranza. Miguel in fin dei conti è un badante e la sua vita cambia e si arricchisce quando inizia a prendersi cura di Emilio.
Hai raccontato l’Alzheimer dal punto di vista del paziente: quanto c’è di “scientifico” e quanto “di fantasia” nel racconto?
Ho cercato di documentarmi sulla malattia, parlando con medici, parenti… Ho potuto vedere da vicino come l’Alzheimer aggrediva il padre di un grande amico. Ma è impossibile sapere come la persona colpita vede la propria vita con questa malattia, quindi ho anche dovuto lavorare molto di fantasia. Ho cercato di mettermi nei panni di una persona che, senza sapere il motivo, realizza che tutto intorno a sé cambia continuamente: le cose non sono più dove le lasci, la tua casa non è più la tua casa, persone estranee che ti trattano con familiarità ed affermano di essere i tuoi figli o i tuoi nipoti… Se ci pensi, è come se fosse una storia d’horror.
La versione completa di questa intervista è su Sbam! Comics nr. 38, insieme a molti altri approfondimenti sul tema.